domenica 12 marzo 2017

SN728 - Via dall'incubo (Capitolo I - L'inizio)


Concorso I-Fantasy Fazi Editore 
Arrivato tra i finalisti, ma nessun premio
Anno 2012




Inoltre faceva sì che a tutti,
piccoli e grandi, ricchi e poveri,
liberi e servi, fosse posto un marchio
sulla loro mano destra.”
Apocalisse 13:16


      Ero una ragazza normale. Avevo una vita normale.
      Da quando ero riuscita a trovare lavoro, avevo lasciato la famiglia dove stavo in affidamento ed ero andata a vivere per conto mio. Vent'anni di valigie fatte e disfatte mi potevano bastare: ora dovevo fermarmi. Il posto in cui abitavo sembrava piccolo, appena sufficiente per una persona sola, ma davvero niente male: recente costruzione, camera soppalcata e acqua e luce compresi nel prezzo. Avevo sedici sorelle e undici fratelli. Beh, aspettate: forse è opportuno precisare che ho passato quasi tutta la mia vita in una casa famiglia di provincia, perciò se conto i bambini che ho visto arrivare e poi andare via in due decenni sì, posso dire di avere avuto sedici sorelle e undici fratelli. Non ho mai avuto molti sogni nel cassetto: non mi è mai importato neppure di sapere dove fossero i miei veri genitori. Volevo solo vivere serenamente fino al giorno della mia morte. Felice sarebbe stato chiedere troppo; il serenamente invece lo potevo pretendere.
    Quando però mi svegliai dal mio sonno - diciamo così – non proprio programmato, fu mortificante dover constatare quanto poco era durata la mia appena conquistata libertà. Ah, Gesù. Sentivo gli occhi gonfi e pesanti, come dopo una sbronza tremenda. Mi ero ubriacata la sera prima? Non ricordavo nulla, niente di niente.
    «Finalmente. Cominciano a ripvendersi» aveva bisbigliato qualcuno in un italiano duro, con un accento per certi versi simile al tedesco. Chi era? Mi avevano ricoverato? Ero in ospedale? La voce e l'esaltazione del tipo sembravano così lontane da me, come ovattate. A fatica, riuscii a rompere il sigillo di stanchezza che mi teneva gli occhi incollati e presto, quando fui in grado di mettere a fuoco, mi resi conto di essere rinchiusa in una specie di tubo verticale trasparente, con delle luci a led molto forti che mi accecavano e con delle prese d'aria condizionata alle due estremità.
      «Ehi, che roba è questa? La nuova macchina antipanico per le Tac?»
      Alcune ventose tenevano sotto controllo il ritmo agitato del mio cuore; un ago cannula era inserito nel mio braccio e tenuto fermo con del nastro adesivo. Presi a dimenarmi, stranamente più furiosa che spaventata – rispondimi per Dio, non lo vedi che la cosa dell'antipanico qui non sta funzionando? Fammi uscire, cazzo.
      «Oh-oh! E guavda che energia!» sogghignò ancora l'uomo, che ora mi era perfettamente visibile: un vecchio, pelato e rugoso, con degli occhiali spessi come due fondi di bottiglia sul naso e la pelle ricoperta di macchie. «Sarai un'adepta pveziosissima, mia cava Aurora».
      «Una che?» gridai. «Chi diavolo sei tu? Che cos'è questa roba?»
     Non rispose. Non ero sicura che potesse sentirmi. Continuò a sfregarsi le mani e a ripetere noncurante: «Uno dei miei lafori migliori, ottimo». Seguendolo con lo sguardo, potei vedere che io ero solo una nel mucchio: altri tubi verticali erano disposti in fila accanto a me. Alla mia sinistra, c'era una ragazza che pareva avere all'incirca la mia età, ancora addormentata. A destra, un ragazzo dai capelli biondi come il grano si stava appena riprendendo. Il suo aspetto aveva qualcosa di strano; il viso era in parte pallido e in parte arrossato. Quando si guardò intorno, esattamente come avevo fatto io poco prima, il suo sguardo mi inquietò: le iridi erano bianche, bianchissime. Poiché era impossibile avere gli occhi di quel colore, nonostante i suoi lineamenti fossero tipicamente dell'est, non potei fare a meno di chiedermi se anche i miei fossero diventati così. Ok, via libera al panico Lola.
      Lentamente, dalla concitazione crescente del vecchio, capii che anche gli altri ostaggi stavano cominciando a risvegliarsi. La ragazza che prima era svenuta al mio fianco attaccò a piangere quasi subito dopo aver ripreso conoscenza, singhiozzava come una bambina di due anni risultando davvero molto fastidiosa..
    «Nein! Assolutamente no!» esclamò l'uomo, contrariato. «Dof'è tutto coraggio? Dof'è la determinazione? Ti abbiamo giudicata male, mia cava... Chloe. Uhm, ma che bel nome» aggiunse come tra sé, scrutando la cartella che aveva in mano. «Su di te la tvasformazione non ha fatto altro che renderti ancora più inutile di quanto non fossi già da umana: temo che dofrai essere eliminata» e detto questo, premette con forza un codice di cinque-sei cifre su una tastiera minuscola disposta a lato del tubo. Un liquido scuro cominciò a sgorgare dalla flebo di Chloe e io potei vederla contorcersi dal dolore, fino a che non morì strozzata dalla sua stessa saliva.
     «Congratulazioni» continuò allora il vecchio, allontanandosi da noi di circa un metro di modo che tutti potessimo vederlo e sentirlo alla perfezione. «Foi siete coloro che sono stati prescelti per far parte di un pvogetto magnifico. Siete dei sanguinari, adesso. Siete l'esperimento 728. Sono contento di federe che anche questa volta ho dato il meglio di me - a parte un piccolo incidente di percorso, che può capitare perfino ai migliori. E so che vi starete facendo molte domande, ma abbiate pazienza: non appena la vostra tvasformazione sarà completata capirete tutto. Ormai, manca solo l'inserimento del chip».
      Sanguinari? Trasformazione? Di che cavolo stava parlando? Certe cose mica esistevano. O sì? Da un computer, disposto sopra un tavolo grande di fronte ai nostri loculi, l'uomo macchinò qualcosa sulla console e dei ganci di metallo, con una specie di pistola laser a margine, cominciarono a scendere dal soffitto e presero posto all'altezza del nostro ventre. Il ragazzo dai capelli color del grano, fu uno dei primi ad assaggiare quel nuovo passaggio dell'esperimento. La pistola sparò una luce porpora in direzione del suo polso destro e un minuscolo quadratino bianco gli venne impiantato sotto pelle, provocandogli un dolore passeggero ma intenso che lo costrinse ad urlare per pochi istanti.
      Sentii almeno altre quattro brevi imprecazioni e capii che presto sarebbe arrivato inevitabilmente anche il mio turno: con il cuore in gola e ancora incredula tentai di liberarmi un'ultima volta, ma quando vidi la lucina della mia pistola illuminarsi chiusi gli occhi d'istinto, sentii il rumore dello sparo, ma non provai nessun dolore.
     Perché? Forse quel marchingegno si era inceppato? Forse il vecchio ci aveva ripensato e non voleva più che diventassi un'adepta? No; non sentii dolore perché non era stata la pistola dello scienziato pazzo a sparare: sette uomini, vestiti di nero da capo a piedi e armati fino ai denti si erano appena introdotti nel laboratorio rompendo il finestrone dietro le apparecchiature. Avevano ucciso il vecchiaccio con un colpo e avevano fatto fuori il computer generale. Quello era un bene o eravamo cascati dalla padella alla brace? Cominciarono a prendere a bastonate i tubi che ci tenevano prigionieri e distrussero con forza tutto quello che capitò loro a tiro. Vidi alcuni di noi opporre resistenza e scagliarsi verso quei tizi, nella foga di uno scontro, il mio tubo venne frantumato in mille pezzi, ma io rimasi lo stesso legata come un salame, incapace di muovermi mentre gli altri combattevano.
     «Andiamo, scendi!» urlò d'un tratto un ragazzo, dopo avermi liberata e dopo aver tirato via la flebo dal mio braccio con poca eleganza. «Andiamo! ANDIAMO!» mi afferrò per una mano e mi trascinò via con la forza.
     «È la polizia?» domandai, mentre cercavo di farmi largo con lui in quella confusione. «Sono venuti a salvarci?»
     «Non sono venuti a salvarci, cretina!» sbottò incollerito. «Guarda!» e afferratami la testa, mi costrinse a voltare lo sguardo indietro per alcuni secondi: uno di quegli uomini aveva appena rotto l'osso del collo a un prigioniero. «Non capisci? Sono venuti per ucciderci!» Poi mi agguantò ancora e mi portò fuori dal laboratorio, cercando di evitare di essere colpito, catturato o ucciso. E cercando di evitare che qualcosa del genere capitasse a me.
      Quell'edificio sembrava essere fatto di soli corridoi fluorescenti che non finivano mai: nessuna finestra, a parte quella nella camera degli esperimenti, nessuna entrata. Praticamente, un labirinto impossibile. Sembrava di correre a vuoto dentro a una lampadina.
      «Come facciamo ad uscire?» chiesi, esasperata.
    «Ne so quanto te» rispose malamente il giovane. Aveva il viso contorto in una smorfia di disappunto; le sopracciglia nere e folte erano aggrottate e tutto di lui trasudava tensione.
     «Come ti chiami?» domandai ancora, tentando un approccio amichevole.
     «Victor» sentenziò, seccamente.
     «Io sono Lola. Aurora . Ma tutti mi chiamano Lola».
     «Sì, Lola. Piacere Lola. Ora vuoi startene un po' zitta? Se non te ne sei ancora accorta siamo nella merda».
     Lo fulminai permalosa, ma a malincuore obbedii. Quel tipo mi piaceva poco, i suoi modi di fare mi intimidivano e mi rendevano nervosa. Lo odiavo come si odiano gli assistenti sociali quando, con i loro giri di parole e i loro bei modi infiocchettati, finiscono per dirti che sei comunque tutta sbagliata. Malgrado ciò, non avrei mai osato avventurarmi da sola in quel casino, Dio no. Avrei sopportato arrendevole la sua compagnia anche a costo di fingere di essere una ragazza dolce e mansueta. E vaffanculo.
      Dopo aver vagato inutilmente per innumerevoli androni tutti uguali, e dopo aver corso lontano dal rumore di passi che a volte ci sembrava di sentire, incontrammo di nuovo il ragazzo biondo grano.
     «Ehi» dissi. «Ehi, Victor, fermo. Lui era con noi, può aiutarci».
     Victor mi guardò malssimo.
    «Più siamo meglio è, no? In caso di un altro attacco. Tu!» gridai verso il giovane. «Eri nel laboratorio, seguici. Stiamo tentando di trovare l'uscita».
    Ma il ragazzo biondo grano non si mosse. Continuò a starsene immobile dall'altro lato del corridoio, con il capo leggermente inclinato verso il basso, e con quegli occhi bianchi agghiaccianti fissi verso di noi.
    «Che problemi ha?» commentai scocciata.
    «Non-non credo che voglia unirsi al gruppo» balbettò il mio compagno. «Andiamo via, dai».
    «Sì, beh, non possiamo lasciarlo qui» mi opposi. «Lo uccideranno se lo trovano.»
    «Aurora, dai retta: è meglio se tagliamo la corda adesso».
    Ebbi appena il tempo di voltarmi un'ultima volta prima di accorgermi che il ragazzo brandiva un enorme coltello insanguinato in mano. Ok no, forse non voleva far parte della nostro team. Cominciammo a correre spaventati e lui di riflesso prese a inseguirci. Il ragazzo era velocissimo e ce l'aveva proprio con noi, ma perché? Intravedemmo una porta in lontananza e ci lanciammo all'interno senza pensare a cosa avremmo potuto trovare dall'altra parte: la porta però non aveva uscite e precipitammo lungo un pendio non molto scosceso che terminava ai piedi dell'altura sulla quale era stato costruito il laboratorio bunker. Anche il tipo biondo si lanciò e quando fummo tutti a terra aggredì Victor con prepotenza. Nonostante quest'ultimo riuscisse a difendersi bene, dimostrando grande abilità nel combattimento, per un attimo mi sembrò che stesse per avere la peggio, fino a che qualcosa spuntò dal bosco e uccise una volta per tutte il nostro assalitore, permettendoci di tirare un sospiro di sollievo.
     «Ah, ibridi» sbruffò l'uomo apparso dal nulla, guardandoci con sufficienza. «Allora è vero che ne esiste qualcun altro oltre a me».
     «... chi sei?» domandai, con la voce che tremava - e non solo quella.
    «Sono Ago» disse, aiutando Victor a rialzarsi. «Massimo Agostini per intero, ma Ago mi piace di più: fa tanto come dire, non so, nome d'arte da ibrido» rise e la sua risata sembrò quella di uno mooolto fuori di testa. Se ne accorse: «Non abbiate paura, sono come voi. Ma è meglio che ce ne andiamo subito, se non vogliamo fare la fine del vostro amico bellicapelli, qui».

sabato 11 marzo 2017

Io, Jane

Secondo classificato - Sezione Racconti
Premio Letterario Internazionale De Leo - Brontë 
Anno 2012

 
"Non darsi modo di star bene,
 senza eccezioni.
Crollare davanti a tutti
 e poi sorridere.
Amare non è un privilegio,
 è solo abilità.
Ricordati. Ricordami.
Tutto questo coraggio non è neve.
Non si scioglie mai, 
neanche se deve .” 



     “Era una figura ambigua quella che i viaggiatori della prima diligenza del giorno diretta a Whitcross si trovarono davanti. Una ragazza - avrebbero detto - all'apparenza molto giovane, magra come poche, vestita di abiti scuri e non molto eleganti, senza nemmeno un baule o qualcosa del genere con sé. Non sembrava una mendicante, ma di certo nemmeno una persona ricca. Aveva pagato come tutti loro la diligenza, quindi pensarono che fosse una sguattera licenziata da una delle brave famiglie della zona, sorpresa con le mani nel sacco a rubare e mandata via così di fretta da non lasciarle neppure il tempo di radunare le proprie cose.
     Era pallida e grigia come la neve di dicembre, aveva segnati sul volto cent'anni di dolore - che nei loro avidi giudizi erano invece cent'anni di vergogna. I suoi occhi non brillavano della vivacità della gioventù, men che meno di quella della vita, ma apparivano velati da una sottilissima patina, opaca e quasi invisibile, che infondeva in lei quella giusta dose di mistero capace di inquietare anche il più impavido dei passeggeri presenti a bordo.
     Che sia uno spirito della notte? - si domandavano, squadrandosi a vicenda. Il gentiluomo che la giovane aveva seduto davanti, un signorotto di mezza età dalle guance piene e violacee, appariva angosciato abbastanza da sudare leggermente lungo le tempie. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era proprio il malocchio di una strega. E la sola signora della carrozza, probabilmente coinvolta dal marito in un viaggio d'affari, appariva infastidita, quasi disgustata, dalla presenza del fantasma a bordo, così spettinato e in disordine. Da come guardava la nostra giovane sfortunata, si sarebbe detto che lei sapeva come tener testa a una maga incantatrice.
     Ma io non ero una maga, lettori. Magari lo fossi stata. Mi sarei sicuramente risparmiata lo sforzo e l'inutile dolore di vivere per un anno accanto a un uomo che ora amavo più di me stessa. Se lo fossi stata, avrei sicuramente letto nei pensieri del signor Rochester e avrei saputo a cosa pensava – a chi pensava e perché - avrei previsto le sue intenzioni e non mi sarei mai, mai... mi sarei senz'altro risparmiata il beneficio di amarlo.
     Il fresco tepore del finestrino mi dava sollievo; sentivo la fronte bruciare per la febbre. Il passare svelto dei filari mi ipnotizzava, ma l'alba non suscitava in me neppure la minima emozione. Pregavo; in silenzio. Pregavo; e piangevo lacrime nascoste. Il signor Rochester era tutto ciò che avevo di più caro, tutto ciò che amavo e io l'avevo lasciato. Cosa ne sarebbe stato di me adesso? Non potevo tornare indietro, non avevo scelta. Non c'era più posto per me a Thornfield.”
     «Signorina Charlotte?» Tabita, nonostante fosse entrata nella stanza il più lentamente possibile e avesse appena parlato, riuscì a farmi trasalire dallo spavento.
     «Perdonatemi, io non... vostro padre domanda di voi».
    «Arrivo subito» risposi. Mio padre domanda di me. Vedete? E voi, signor Héger, quando domanderete finalmente di me? Vi amo, Constantin - scrissi in fondo agli appunti del romanzo a cui stavo lavorando in quel momento. «E la vostra assenza si fa sentire più della presenza di chiunque altro» aggiunsi piano.
     Strappai il foglio e lo guardai incenerirsi nel caminetto. Evitavo di lasciare inutili motivi di discussione in giro per le stanze, la vera prigione era nella mia testa. Mi ero privata del piacere di parlare di voi perfino con Emily, sebbene una sorella riesca sempre e comunque a leggere negli occhi le verità del cuore.
     «Sei così depressa Charlotte, sono preoccupata per te» diceva. «Devi andare avanti, dimentica».
     I grandi saggi e scrittori del passato, per quanto ne abbiano scritto, non ci hanno mai davvero avvertito riguardo i poteri devastanti dell'amore. L'amore implica il cambiamento. Il cambiamento implica una trasformazione dolorosa dalla quale non si può più tornare indietro. È come essere prosciugati di tutto il sangue. È come essere svuotati dei ricordi felici. È come avere sempre fame. Il mio vivere stava in questo: dipendevo interamente da una vostra parola.

     E come potevo dimenticarvi? Se vivevo era perché voi vivevate. Se respiravo era perché anche voi lo stavate facendo da qualche parte. L'attesa sarebbe stata straziante in ogni caso; avrei continuato ad amarvi anche dall'altra parte del mondo. Il mio spirito avrebbe bussato alla finestra del vostro studio ogni sera; vi avrei seguito per le strade di Bruxelles passo, passo. Avrei spiato con tenera invidia il bacio della buonanotte ai vostri figli prima di addormentarsi, perché avevo il vostro viso davanti, continuamente. Le vostre sopracciglia folte, arcuate, così troppo spesso accigliate. Il vostro profilo severo; i vostri capelli neri, nerissimi. Mi guardavate sempre con rimprovero.

      Sapete, dopo la morte della zia, mio padre non è più stato lo stesso. Per tutta la sua vita è stato circondato da donne, ma sembrava che non fosse mai riuscito a liberarsi del fantasma di quelle che se ne erano andate. La mamma. Maria, Beth. E poi zia Lizzie. Tutte quante gli avevano portato via un pezzo di qualcosa. Mi faceva sempre più pena, più di quanto io non provassi per me stessa, dal momento che ero morta da parecchio anch'io, questo lo sapevo. Papà mi faceva pena specialmente nelle giornate invernali, quando la pioggia e la nebbia rendevano tutto così grigio, dall'aria fino alla sua pelle. Ricordavo con piacere invece le luci di Bruxelles, che sembravano un oceano di colori anche nelle più gelide delle serate. Il bagliore dei candelabri accesi, gli abiti eleganti delle mesdames nelle loro carrozze, la giovialità delle allieve della scuola che tiravano un sospiro di sollievo dopo un'intensa giornata di studio. So di aver detto di trovarla noiosa a volte, Bruxelles, ma non era la città a rendermi inquieta.

    Leggevamo molto io e mio padre. Io leggevo per lui e lui mi ascoltava. A volte, si addormentava per dei quarti d'ora infiniti e quelli erano i momenti in cui pensare mi costava di più. Non osavo alzarmi dalla sedia e lasciare la stanza; il caro reverendo Brontë provava già abbastanza difficoltà ad accettare gli anni che avanzavano senza doverlo impermalire ulteriormente. Ho imparato che la malattia può rendere un uomo molto cattivo, a momenti. Così rimanevo lì. La Sacra Bibbia poggiata sulle ginocchia e tanto, troppo silenzio. Per quanto mi sforzassi, finivo sempre per pensare a voi. Era difficile non potersene andare quando il ricordo diventava più vivo, quando la voglia di piangere si faceva così intensa da farmi singhiozzare l'invisibile. Era difficile anche quando il ricordo si faceva più dolce, perché accadeva sempre che qualcosa venisse ad interrompermi, scuotendomi violentemente.

     Ciò che più amavo ricordare era il vostro sorriso - oh, che meraviglioso sorriso avete, se solo poteste rendervene conto ridereste di più. Me ne avete regalato uno, quel pomeriggio di aprile nel vostro studio ed è stato come ricevere il bacio di un dio. Io mi trovavo a Bruxelles già da qualche mese e voi eravate particolarmente in buona quel giorno perché eravate più allegro del solito. E per come siete abituato voi a essere allegro, si poteva dire che si trattasse di un vero miracolo - perdonatemi, non volevo burlarmi di voi, anche se una smorfia mi è appena sfuggita dall'angolo della bocca e le guance sono diventate fiamme infuocate al pensiero delle vostre... particolarità.

     «Ho letto il vostro componimento, Miss Brontë. Se solo le vostre traduzioni fossero buone come le cose che scrivete» avete detto.
    «Se mi è concesso, signore, sarebbe tutto molto più semplice per me se voi mi permetteste di usare il dizionario».
    «Siete a Bruxelles da un tempo ragionevole ormai da non averne più bisogno. Piuttosto, sospetto che vi divertiate a incollerirmi con le vostre traduzioni poco più che sufficienti».
     «Oh no, così non sia, signore. Non potrei mai volere la vostra collera: ne morirei» risposi.
    Mi avete guardata. Vi siete voltato d'improvviso e avete affondato il vostro sguardo indagatore su di me. Io conoscevo bene i vostri occhi; avrei potuto enumerarne le pagliuzze dorate e le sfumature con enorme facilità. Ma credo che per voi quella sia stata la prima volta che mi avete guardata davvero. Nelle altre occasioni mi avevate solo vista, guardata mai.
     «E sia» avete ribattuto. «Usate pure il dizionario, per questa volta. E vedremo... se riuscirete a sorprendermi».
     Afferrai il consistente volume dalle vostre mani e lo strinsi forte al petto. Nella mia sciocca immaginazione ero stata così contenta di aver ricevuto in prestito quel dizionario da voi, da viverlo come se aveste tagliato una ciocca di capelli e me ne aveste fatto dono.
     «Credevo di averlo già fatto, signore, con i miei componimenti» risposi.
     Lo stupore dipinto sul vostro viso mi emozionò. «Bene; allora ridatemelo se ne siete così sicura» e avete porto la mano per riprendervi il libro.
    «Niente affatto» strinsi il dizionario ancora più forte.
    «Non volete ridarmelo?»
    «No, signore».
    «Ma io ne ho bisogno, signorina Brontë».
    «Non vi credo».
    Avete taciuto. Mi avete guardata di nuovo. Avete accantonato i miei scritti "peu correcte" e avete preso a correggere i compiti degli studenti. Non sembravate in vena di rivolgermi nessun'altra parola per quel giorno e a me poteva bastare.
     «Cercherò di fare del mio meglio signore, buonanotte».

     Era quella la felicità? Perché non ricordo di aver provato niente di più squisito. Ingenuamente, pensavo di essere riuscita a spezzare una qual sorta di incantesimo che vi teneva imprigionato nella vostra indifferenza, ma voi non mi avete rivolto la parola per tutta la settimana seguente e vostra moglie mi aveva riservato lo stesso trattamento. Tuttavia, l'attesa aveva aumentato il mio desiderio di rivedervi. Così, non dimenticherò mai il momento in cui vi incontrai di nuovo. Quella sera, il vostro studio era più buio del solito. Non era poi così tardi, perché le lezioni del pomeriggio erano appena terminate e mancava ancora un po' alla campanella della cena. Sulla vostra scrivania però, vi era solo una candela accesa e le tende erano tirate, di modo da non lasciar filtrare nemmeno uno degli ultimi raggi di sole.
     «Ah, siete voi. Venite avanti, signorina Brontë» mi avete detto.
     La vostra voce era distratta e stanca, il vostro sguardo non si era distolto dal compito che avevate per le mani. «Chiudete la porta».
     Obbedii. Mi avvicinai con timore. Sembravate molto nervoso, pronto a sbranarmi da un momento all'altro. Ma io restai in piedi, in silenzio, pronta ad accogliere il vostro attacco.
     «Sedetevi, cosa state aspettando?» avete aggiunto dopo almeno cinque minuti buoni, senza mai guardarmi.
     Obbedii di nuovo.
    «Bene» avete infine concluso, sbattendo forte il pennino sul tavolo e degnandomi finalmente di un po' di attenzione. «Vediamo che cosa siete riuscita a fare. Il vostro lavoro, prego».
     «Come...?» risposi balbettando.
     «Datemi il vostro lavoro, quello che vi ho assegnato la settimana scora» avete ripetuto.
     «Volete correggerlo adesso
   «Perché no? Non vorrete perdervi la mia espressione sorpresa? Sempre se riuscirete a sorprendermi. Restate qui, non ve ne andate. Per favore, s'intende».
     Il mio aspetto era tranquillo, ma dentro di me tutto era in fermento. Avrei potuto reggere il vostro giudizio così, su due piedi? Vi guardavo con insistenza, studiavo il vostro profilo: il vostro naso dalle narici grandi e colleriche, le vostre labbra così ben delineate. La cosa che preferivo di voi erano i segni della vostra pelle. Non erano segni di vecchiaia, sebbene aveste superato l'età della giovinezza da un pezzo. Erano più pieghe di esperienza. Una delle più affascinanti si trovava a metà strada tra le vostre sopracciglia, un solco scavato dalle troppe volte in cui vi siete aggrottato, probabilmente. Ma le più belle in assoluto, erano quelle che partivano dalla base del vostro naso e percorrevano con un non troppo profondo semicerchio i lati della vostra bocca. Ve ne era un'altra, infine, che non compariva quasi mai perché andava di pari passo con il vostro sorriso; quando sorridevate infatti - e parlo di un sorriso vero, una risata piena - compariva una piccola linea verticale subito in prossimità degli angoli della vostra bocca. Si dice che chi ha gli angoli della bocca rivolti all'insù sia una persona positiva ed estroversa; chi li ha rivolti all'ingiù sia invece più timido e insicuro. Così mi sono sempre chiesta che cosa volesse significare il vostro modo di ridere, visto che non appartenete né all'una e né all'altra categoria. Forse quella linea verticale che spezza le vostre labbra ai lati, sta a significare che non siete come tutti gli altri, che anche voi vi lasciate spezzare spesso, vi impedite di essere felice, siete il guardiano della vostra gioia, alla quale rinunciate come se foste stato condannato a essere punito a vita. Ma per che cosa?
      Non ho spostato lo sguardo dalla vostra persona nemmeno per un attimo, così come voi non avete spostato mai lo sguardo verso di me. Poi, a un tratto, il lembo del mio vestito ha sfiorato il vostro ginocchio e siamo rimasti così, vicini ma non abbastanza da toccarsi davvero. Facevo attenzione a non respirare troppo forte, avrei potuto rimanere schiava della vostra ombra per tutta la vita.

     Monsieur Héger, nella lettera che tempo fa avete scritto a me e a Emily, dopo che in fretta e furia lasciammo Bruxelles per la morte della zia, mostravate apprezzamento e... mancanza. Una mancanza che però non ho ritrovato al mio ritorno. Perché d'un tratto siete diventato così freddo? Mi ignoravate, pur cercandomi. Eravate quasi sempre voi il primo a fare un passo, commissionandomi l'una o  l'altra traduzione. Troppo impegnato per parlarmi di persona; troppo poco per lasciarmi andare via. Ditemi come posso dimenticarvi, signor Héger? Come posso dimenticare quella volta?

     Vi siete accanito su di me con una rabbia immotivata, che mi siete sembrato come un vulcano di frustrazione rimasto inesploso per troppo tempo. Avete continuato a infierire, e infierire, fino a che non sono scoppiata in un pianto disperato proprio davanti a voi.
     «E questa la chiamate traduzione? Non vi ho insegnato nulla? Un nomade analfabeta avrebbe saputo fare di meglio. Sono deluso, molto deluso!» avete detto, camminando avanti e indietro nel vostro studio come una bestia infuriata; il mio lavoro tra le mani pronto a essere fatto a brandelli.
     «Mi dispiace! Io... ho cercato di fare del mio meglio. Come sempre!»
    «Non è abbastanza!» avete gridato. «Fare del nostro meglio, a volte non è abbastanza» ripeteste più piano, abbandonandovi a testa bassa, i pugni serrati contro il legno della scrivania. Poi in un balzo, mi avete afferrato per le spalle e mi avete spinta contro il muro. «Non innamoratevi di me, Miss Brontë» avete detto in una supplica. «Non fatelo».
     Vi guardai, sgranando gli occhi, sorpresa.
     «È-troppo-tardi» confessai.
     Allora vi siete calmato. Avete asciugato, rassegnato, le mie lacrime col dorso della mano. Eravate a un palmo dal mio naso, potevo sentire il vostro respiro caldo sulla pelle, il vostro profumo.
     «È tutto così sbagliato, Charlotte. Riuscite a capirlo?»
     «Lo capisco. Ma non posso accettarlo».
    Chiusi gli occhi; aspettavo un vostro bacio. Ma voi avete solamente sigillato le mie labbra con un dito, prima di voltarvi e allontanarvi, senza più dire una parola.
     Vostra moglie era entrata nello studio, allarmata probabilmente dal frastuono. Sophie era con lei. Mi guardò con un'aria così severa che non seppi reggere il confronto. Fuggii; e il vostro sguardo mi seguì. Lo potei sentire anche dandovi le spalle. Poi la porta del vostro studio si chiuse di nuovo. Sophie ne venne esclusa, proprio come me. E io abbandonai lì dentro il mio più grande rimpianto: quello di non avervi baciato almeno una volta e la consapevolezza che, da quel momento, tutto sarebbe cambiato.
     Avevamo perso la nostra occasione.
Da una lettera di C. Héger:
“Miss Brontë, qui a Bruxelles stiamo tutti bene. Vi ringraziamo per la vostra missiva. Continuate a studiare il francese e non fatevi distrarre da altro.
Cordialmente, 
Professor C. Héger.”

     Il giorno della mia seconda partenza lo porterò nel cuore per sempre, come un dipinto nitido e chiaro stampato a fuoco nella memoria. Pioveva molto e faceva freddo. Prima di salire sulla carrozza che mi avrebbe strappato definitivamente da voi, mi voltai a cercare la vostra sagoma alla finestra dello studio: non eravate sceso a salutarmi come avevano fatto gli altri insegnanti, così avevo pensato, avevo sperato, che almeno da lontano io potessi...
     La pioggia batteva sul mio viso, il temporale avanzava. Le vostre tende vennero di colpo tirate e io mi rassegnai al fatto di avervi perso. Ma poi, qualche metro più avanti, al cancello, vi vidi nascosto nell'antro di mattoni rossi che delimita l'ingresso della scuola. Mi avete di nuovo chiuso le labbra con un dito e io, ancora una volta, ho obbedito.
     «Così... addio, signorina Brontë».
     «Non ditelo, voi sapete: mi basterebbe un vostro segno, solo uno, per trasformare questo addio in un arrivederci».
    Avete sorriso, guardando in basso. Mi sembrò di sentir soffocare un signhiozzo. Mi avete preso una mano e ve la siete portata al petto.
    «Ecco, ascoltate» avete detto. «Non chiedetemi altro».
 Da una lettera di C. Brontë 
“Monsieur Héger, signore... so che non ho nessun diritto di dire quello che sto per dire, ma come potete dedicarmi così tanta indifferenza? Pensate che possano bastarmi queste due misere righe? Pensate di potermi liquidare come si liquida un'insulsa amante francese? Che cosa pensate che io sia? Volete forse dirmi che non ha significato nulla quello che c'è stato tra di noi? Ho sentito il vostro cuore battere per me.”
            E ancora.
“È vostra moglie che vi impedisce di scrivermi? Non sarete mai mio. Questo non è sufficiente per lei? Dedicatemi almeno un po' del vostro tempo, signore; fatemi capire che mi pensate almeno la metà di quanto io penso a voi. Perché se un giorno scoprissi che sono scomparsa dalla vostra memoria... se un giorno scoprissi che mi avete dimenticata, per me non avrebbe più senso vivere, lo capite? E allora la morte sarebbe solo una consolazione. Desiderate la mia morte, signore? Io a volte, lo ammetto, sì.”

     «È così folle, Charlotte. Non puoi spedire sul serio una lettera del genere a Monsieur Héger. Ti prenderà per pazza».
    «Non giudicarmi. Tu non c'eri, non puoi capire».
    Emily si era avvicinata a me. Mi aveva accarezzato i capelli e guardata con compassione.
     «Devi dimenticarlo. È stato solo... niente. È stato niente, ecco tutto».
    Scoppiai a piangere.
    «Charlotte, gli uomini sono creature incomprensibili, a volte. Sono impulsivi, seguono il loro istinto animale. Ma Monsieur Héger è sposato».
     «E credi che non lo sappia?» ribattei.
    «Allora che cosa ti aspetti che faccia? Che cosa vuoi da lui?»
    «Vorrei che... io vorrei solo...»
    «Ti rendi conto di quello che gli stai chiedendo, vero?»
   «Tu non avresti dovuto nemmeno leggerla questa lettera» singhiozzai ancora. «Ma in questa casa  avete sempre l'abitudine di apparire alle mie spalle come corvi!»
   «Un giorno capirai da te quanto tutto questo sia sbagliato, Charlotte» e dopo avermi baciata la fronte, Emily si congedò.
Da una lettera di C. Brontë:
"È passato oramai un tempo sensatamente lungo da quell'episodio, ma non sono ancora sicura di poter dire quanto sbagliato sia stato incontrarvi. Ho provato nel tempo a riconquistare la vostra amicizia, mi sono mostrata calma e giudiziosa; ma i vostri silenzi si sono fatti sempre più frequenti. Emily e Anne mi hanno coinvolto in un progetto che sta assorbendo le mie giornate per intero e tutta la mia energia. Ho scritto un libro. Parla di un uomo tormentato che alla fine decide di seguire il suo cuore nonostante le avversità. Abbiamo appuntamento con un editore a Londra la prossima settimana, vorrei tanto che il mio lavoro venisse pubblicato anche se forse non sono mai stata una granché, come più volte avete sostenuto. Sapete, Monsieur Héger, a volte ci sembra di vivere una favola, e come nelle favole, ci si aspetta di avere un finale banale. Felice, ma banale. La vita vera però non è così, non ti deve niente. Non deve impressionarti. Non deve saziarti. Può lasciarti a metà. Può lasciarti a metà anche per sempre. 
Leggetelo. Leggetemi, per favore."
______________________________________________________________

Charlotte Brontë morì il 31 marzo del 1851.
Pochi anni dopo, morì in Belgio anche Monsieur Héger.
La signora Héger decise di chiudere la scuola.
Una delle loro figlie, Victorine, facendo l'inventario dei libri nella biblioteca del padre trovò un volume conservato lontano dagli altri, in un cassetto chiuso a chiave.  Era scritto in inglese e il titolo era Jane Eyre, di un certo Currell Bell. Nell'ultima pagina vi era questa annotazione:
"Très bien, ma chère... très bien"

domenica 25 agosto 2013

Cosa bolle in libreria a settembre

Come diventare ricchi sfondati nell'Asia emergente
Mohsin Hamid
Einaudi

Trasferirsi in città, studiare, non innamorarsi, evitare gli idealisti, imparare da un maestro, mettersi in proprio, essere disposti a usare la violenza, farsi amici i burocrati, lavorare per l'esercito e danzare con i debiti. E seguendo alla lettera queste regole che il protagonista del nuovo romanzo di Mohsin Hamid risale i gradini della scala sociale passando da fattorino di una videoteca (di dvd piratati) a studente militante di un gruppo islamico, quindi a rappresentante di prodotti alimentari (scaduti), a imbottigliatore clandestino di acqua del rubinetto e, infine, a proprietario di un'immensa azienda di acque minerali. Eppure, a mano a mano che compie la sua ascesa, il giovane diventa più insicuro e, soprattutto, si allontana dalla "bella ragazza" che ama. E solo quando si ammala, quando il suo vice lo tradisce e l'azienda fallisce che rivede la sua scala di valori e cerca di riscattarsi. Il nuovo romanzo di Hamid è una storia d'amore e di speranza, che racconta la rocambolesca storia di un uomo che dovrà perdere tutto prima di capire che l'unica cosa a cui non si può rinunciare è l'amore.


La bellezza delle cose fragili
Taiye Selasi
Einaudi

E' la storia di una famiglia, i Sai, la cui vita serena e agiata viene distrutta all'improvviso. Kwaku, il padre, un chirurgo di successo di origini ghanesi, viene ingiustamente accusato di un errore in sala operatoria che porta alla morte di un ricco paziente. Nella sua lotta per opporsi ad un licenziamento ingiusto, l'uomo sperimenta la perdita di tutte le sue illusioni, e finisce per abbandonare gli Stati Uniti, tornando in Ghana, e portando alla completa disgregazione la sua famiglia. Sarà solo alla morte di Kwaku che la moglie nigeriana, Fola, e i suoi quattro figli si riuniranno per ricordarlo, riannodando i fili di destini che li hanno separati e scoprendo che l'amore e la forza della verità sono capaci di curare le ferite che ciascuno di loro porta dentro sé. Taiye Selasi dipinge il ritratto di una famiglia di questo tempo e, con una scrittura assieme ironica e spietata, ci regala una riflessione profonda e cosmopolita sull'influenza che le nostre origini hanno su ciò che siamo.


L'amore in un giorno di pioggia
Sarah Butler
Garzanti

Da quasi trent'anni, quando la brezza di Londra diventa più calda e petali bianchi si aprono tra i fili d'erba, Daniel cammina sulle rive del Tamigi e si siede su una panchina. Tra le mani ha un foglio di carta e una busta su cui scrive solo un nome, sempre lo stesso. Poi la imbuca, senza indirizzo. Sono gli auguri di compleanno per sua figlia. Di lei sa solo come si chiama e che è stata concepita in un giorno di pioggia con la donna che ha amato di più al mondo. Alice ha trent'anni e da sempre si sente più felice sotto un cielo stellato, circondata dall'immensità dell'orizzonte, piuttosto che al sicuro fra quattro mura. Londra le va stretta, piena dei ricordi di sua madre scomparsa troppo presto, di una famiglia a cui non sente di appartenere e di un amore perduto. Ma adesso è tornata, perché suo padre sta morendo. Alice riesce a dargli solo l'ultimo addio. Alice e Daniel sembrano non avere nulla in comune, tranne l'amore per le stelle, i colori e i mirtilli ancora aspri. Ma soprattutto l'abitudine di stilare elenchi delle dieci cose che li rendono più tristi o felici. Alice non conosce l'uomo che le si avvicina con aria confusa e impacciata al funerale del padre. Alice non sa chi è Daniel. E non sa che la sta cercando da tutta la vita. Tra le mani Daniel tiene un fiore di carta e nella testa tutte le parole e le carezze che ha conservato per Alice in tutti questi anni. E che, forse, adesso avrà il coraggio di regalarle.


Le nove chiavi dell'antiquario
Martin Rua
Newton Compton

Le indagini del mercante d'arte Lorenzo Aragona. Gerusalemme, 1118. Alcuni monaci del neonato Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo, più tardi noti come Templari, fanno una scoperta inquietante nelle viscere del Monte del Tempio. Berlino, 1945. Un gruppo scelto di uomini s’inoltra nella capitale del Terzo Reich devastata dai bombardamenti, per recuperare un prezioso manufatto. Napoli, 2012. La vita dell’antiquario Lorenzo Aragona procede tranquilla, finché una giovane donna dell’Est, comparsa misteriosamente, lo trascina in una drammatica vicenda dai risvolti esoterici. Ma chi è veramente Anna Nikitovna Glyz e che cosa lega suo nonno al nonno di Lorenzo? Per scoprirlo, i due iniziano un viaggio seguendo tracce e simboli da interpretare e decifrare. Un viaggio che, da Gerusalemme a Berlino, porta a Napoli e a Kiev, fino a Roma, e che presto assume i contorni di una fuga. Perché tutti gli indizi che Anna e Lorenzo trovano conducono a un misterioso e millenario enigma... il Codice Baphomet. Cosa si cela dietro questo antichissimo arcano ideato e tenuto segreto sino a oggi dai leggendari maghi caldei?


Tutti mi danno del bastardo
Nock Hornby
Guanda

Elaine Harris, stimata giornalista, ha sempre raccontato il suo matrimonio con Charlie in una rubrica, molto apprezzata dal direttore del giornale e da un vasto seguito di lettori. Nessuno, però, e men che meno il marito, si sarebbe aspettato gli articoli al veleno che Elaine inizia a scrivere appena una settimana dopo che i due hanno deciso di divorziare. Per Charlie anche solo andare in ufficio diventa un problema, visto che tutti leggono quei pezzi in cui Elaine racconta, con dovizia di particolari, le sue innumerevoli e innegabili mancanze come marito, come padre, come amante. Charlie può solo sperare che l’ex moglie si stanchi presto di pubblicare il Bastardo.


Quando eravamo foglie nel vento
Anne Korkeakivi
Garzanti

Da sempre Clare Moorhouse ama camminare nella folla di Parigi a primavera, fra i boulevard e gli stretti vicoli del quartiere latino. Tra gli sguardi frettolosi dei passanti, passi svelti e mani che si sfiorano per sbaglio, Clare riesce a essere sé stessa completamente. Solo in mezzo a completi sconosciuti si sente al sicuro. Nessuno può riconoscerla, nessuno può scoprire il segreto che da anni custodisce nel cuore, nemmeno il vento e le foglie che le scompigliano l'accurato chignon. Ma oggi è un giorno speciale. Clare ha appena saputo di dover organizzare una cena importante per suo marito, un diplomatico in carriera. Forse è arrivato il momento di ottenere la tanto attesa promozione ad ambasciatore. E tutto dipende dalla cena che Clare ha solo dodici ore per rendere perfetta. Un compito che può svolgere solo lei, abituata a rendere ogni ricevimento impeccabile. Per lei non è mai stato un problema, eppure oggi, mentre sceglie le primule da mettere nel centrotavola o corre nel Marais ad acquistare le candele, un peso le tormenta l'anima. Perché l'incarico per suo marito si trova in Irlanda. E Dublino è la città che custodisce il segreto dal quale Clare sta cercando di fuggire da tutti questi anni. Tutta la sua vita perfetta, suo marito, i suoi figli e tutto quello che ha di più caro sono in pericolo: oggi, tra la folla che l'ha sempre fatta sentire protetta, sono riapparsi gli occhi azzurri di un uomo che Clare credeva morto.


Le regole del buio
Jerker Eriksson e Hakan Axlander Sundquist
Corbaccio

Tra le fiamme che divorano un’auto e i suoi due occupanti nel centro di Stoccolma, il commissario Jeanette Kihlberg intuisce che l’intricatissima indagine in cui è coinvolta sta precipitando verso il suo epilogo. Molti dei principali attori sono già usciti di scena, assassinati uno dopo l’altro da una mano misteriosa e senza volto, mossa da motivi che restano insondabili. Il commissario e il fedele collega Jens Hurtig sembrano arrivare sempre un istante dopo che l’orrore abbia svelato l’ennesimo frammento di un disegno indecifrabile. Al centro di uno spaventoso commercio di vite umane, una sola figura rimane inafferrabile: il cerchio si stringe attorno all’avvocato Viggo Dürer, uomo dal passato controverso e apparentemente inattaccabile. Parallelamente, nella psiche di Sofia Zetterlund, psicologa e profiler dalla doppia personalità che assiste Jeanette nelle indagini, riemergono con fatica le ferite del passato, cicatrici mai rimarginate che lentamente si ricompongono in un disegno via via più chiaro e sconcertante: non può neppure immaginare quanto sia profondo il legame con il male che l’ha segnata. La verità è sempre più vicina, ma coinciderà con la sconfitta della ragione: celata dalle nebbie della mente, o rinchiusa nei sotterranei di una casa sperduta in mezzo ai boschi. Sorprendente, claustrofobico, estremo.

fonte: www.qlibri.it

Cosa bolle in libreria a settembre

Le città degli angeli
Danielle Trussoni
Nord

Da millenni si muovono nell'ombra. Sono spietati, implacabili, immortali. Sono i Nefilim, creature nate dall'unione tra gli angeli che hanno osato sfidare Dio e gli umani. Nel corso dei secoli, hanno vissuto in mezzo a noi, per dominarci. Sono stati condottieri, re, imperatori. E, ancora oggi, governano le sorti del mondo. Da generazioni combattono nell'ombra. Sono gli angelologi, una società segreta di studiosi, religiosi e cacciatori. Nel corso dei secoli, si sono opposti con ogni mezzo al Male sceso sulla Terra con un battito d'ali. E, ancora oggi, sono alla ricerca dell'arma che possa annientarlo. Sono trascorsi dieci anni, ma Verlaine non può dimenticare: le ali scure di Evangeline che si stagliano contro il cielo di New York sono sempre lì, davanti ai suoi occhi, a rammentargli come la donna che ama - un tempo fedele alleata degli angelologi - sia diventata una Nefilim. Era stato allora, al cospetto di quel tradimento supremo, che lui aveva giurato di dedicare ogni istante della propria vita al tentativo di salvarla. Eppure, quando Evangeline gli appare improvvisamente davanti, in una stradina di Parigi, lui si rende conto che affrontare da solo una creatura così imprevedibile e pericolosa sarebbe un'assoluta follia. Ma gli angelologi cui si rivolge vogliono aiutare Evangeline o annientarla? E perché l'esito di quella missione sembra dipendere da un oggetto leggendario, forse sepolto nei sotterranei di Parigi, forse nascosto in un elegante palazzo di San Pietroburgo, forse perduto nelle lande desolate della Siberia? Ma, soprattutto, perché Evangeline è diventata il fulcro di quella guerra millenaria, da cui dipende il futuro dell'intera umanità?


Il respiro della cenere
Jean-Christophe Grangé
Garzanti

Nel buio di un garage viene ritrovato il corpo di una donna brutalmente assassinata. Accanto, un paio di guanti da chirurgo ancora intrisi di sangue. L'ennesimo spietato delitto del serial killer che da mesi spaventa Parigi. L'unico in grado di occuparsi di un'indagine così complessa è il solitario ispettore Olivier Passan. L'uomo sta attraversando il periodo più difficile della sua vita: la separazione dalla moglie Naoko, di origine giapponese e madre dei suoi due figli. Eppure non può permettersi distrazioni perché il modus operandi dell'assassino fa pensare ad una mente malata e pericolosa. Tutto porta verso un unico sospettato: Patrick Guillard, un'ermafrodita abbandonato dalla madre alla nascita. Passan è convinto che il colpevole sia lui. Ma ha tra le mani solo indizi, non c'è nessuna prova schiacciante. Proprio quando sta per incastrarlo, Guillard si dà fuoco, portando a termine il suo piano folle che si ispira alla leggenda mitologica dell'Araba Fenice: l'uccello che una volta morto rinasce dalle proprie ceneri. Tutto sembra perduto. In realtà per Passan è solo l'inizio. Il caso non è affatto concluso e una minaccia incombe su ciò che ha di più caro: i suoi figli. L'ispettore ha bisogno di risposte. Risposte che solo Naoko, fuggita in Giappone, può dargli. Risposte che affondano le radici in quella tradizione millenaria che li univa: l'arte dei samurai. Una verità inquietante lo aspetta, per cui tutto quello che ha sempre creduto vero è in realtà una bugia.


Una verità delicata
John Le Carré
Mondadori

Due i protagonisti di questa vicenda squisitamente British. Da una parte Paul Enderson, un comune cittadino britannico, 50 anni suonati, che viene incaricato da Quinn, giovane ministro della Difesa, prendere parte a una missione segreta a Gibilterra per incastrare, con l'appoggio di alcuni mercenari americani, un certo Aladdin, ricchissimo mercante d'armi d'origine libanese. Qualcosa va però terribilmente storto e Paul rientra precipitosamente a Londra. Il suo momento di brividi e gloria al servizio del governo britannico sembrerebbe finire qui. Si saprà poi che l'uomo viene allontanato dal Paese. Dall'altra parte il giovane e idealista Toby Bell, 31 anni, agente segreto e segretario personale del ministro Quinn, che viene per caso a conoscenza degli strani maneggi del suo capo con Jay Crispin, un personaggio ambiguo con le mani in pasta in affari sporchi di armamenti e ingenuamente pensa bene di registrare il ministro durante un incontro segreto con Crispin e un certo Paul, al quale affida una missione illegale a Gibilterra. Anni dopo i due uomini si incontrano e si alleano in una mission impossibile che mette a repentaglio le loro vite.


Di carne e di nulla
David Foster Wallace
Einaudi

Da Una cosa divertente che non farò mai più a Considera l'aragosta; da Tennis, TV, trigonometria e tornado a Il tennis come esperienza religiosa, il saggio letterario e il reportage hanno segnato, in un contrappunto continuo con le opere narrative, la carriera di David Foster Wallace. Questo corposo volume raccoglie tutta la sua non­fiction inedita, che spazia dalle riflessioni sull'arte, e il suo ruolo nel mondo di fine millennio, a considerazioni sul cinema e note di costume. E include anche le interviste rilasciate al critico Larry McCaffery e alle riviste Salon.com e The Believer, nonché un'esilarante conversazione con il grande regista Gus Van Sant.


Come inciampare nel principe azzurro
Anna Premoli
Newton Compton

Quale ragazza non sogna di sfondare nel proprio lavoro sfruttando la possibilità di trascorrere un anno all’estero? È proprio questa la grande opportunità che un giorno si presenta a Maddison: ma l’inaspettata promozione arriva sotto forma di un trasferimento dall’altra parte del mondo, in Corea del Sud! Maddison, però, è solo all’apparenza una donna in carriera. In realtà è molto meno motivata delle sue colleghe e per nulla attratta dall’idea di stravolgere la sua vita. Come è possibile che abbiano pensato proprio a lei, che del defilarsi ha fatto da sempre un’arte, che ha il terrore delle novità e di mettersi alla prova? Una volta arrivata in Corea, il suo capo, occhi a mandorla e passaporto americano, non le rende neanche facile adattarsi al nuovo ambiente. Catapultata in un mondo inizialmente ostile, di cui non conosce nulla, di cui detesta le abitudini alimentari e non solo, Maddison si vedrà costretta a tirar fuori le unghie e a crescere una volta per tutte. E non è detto che sulla sua strada non si trovi a inciampare in qualcosa di bello e del tutto imprevisto!


Il messaggio nella bottiglia
Jussi Adler Olsen
Marsilio

Dopo aver galleggiato sulle acque del mare per chissà quanto tempo, una bottiglia che racchiude un vecchio messaggio finisce sulla scrivania dell'ispettore Carl Mørck. Un grido di aiuto scritto con il sangue: due fratelli imprigionati in una rimessa per le barche chiedono di essere liberati. Chi sono i due ragazzi, e perché nessuno ne ha denunciato la scomparsa? Potrebbero essere ancora vivi? Carl Mørck e il suo assistente siriano Assad dovranno usare tutte le risorse disponibili per svelare la spaventosa verità che le onde del mare hanno trascinato alla deriva troppo a lungo.


Il mio nome è nessuno - Il ritorno
Valerio Massimo Manfredi
Mondadori

Ci sono voluti dieci anni ininterrotti di guerra, di sangue e di strazio per sconfiggere i Troiani. Ora Odysseo deve rimettersi in viaggio con i suoi uomini per far ritorno a Itaca. E riprende la lotta, la sua sfida a tutto e a tutti. Ad attenderlo, imprese spaventose, prove sovrumane, nemici insidiosissimi come il ciclope Polifemo, i mangiatori di loto, il fiore che dà l'oblio, e poi la maga incantatrice che trasforma gli uomini in porci, i mostri dello Stretto, le Sirene dal canto che uccide. Dovrà raggiungere i confini del mondo, evocare, come uno sciamano, le ombre dei morti dall'aldilà, finire su un'isola misteriosa dove una dea lo accoglierà e lo terrà prigioniero fra le sue braccia per sette lunghi anni. Poi, finalmente, il ritorno. Il giorno del sole nero, il giorno della vendetta. Dopo aver cantato la formazione dell'eroe, Valerio Massimo Manfredi dà voce nuova al viaggio più avventuroso e affascinante di tutti i tempi. E osa guardare verso l'orizzonte su cui i più grandi poeti si sono interrogati nei secoli: l'Ultimo Viaggio. E mai davvero morto il re di Itaca, il figlio di Laerte, l'eroe vagabondo?

fonte: www.qlibri.it

domenica 4 agosto 2013

Matteo Zapparelli - Corner's Church

Autore: Matteo Zapparelli
Titolo: Corner's Church
Editore: Narcissus
Pagine: 194
Anno di pubblicazione: 2012
Formato: Ebook
Prezzo: 0,99
Ratings:  ☆ 

Trama:
Alex Snyder, detto il Biondo, è un agente federale la cui unica ossessione è quella di trovare e ammazzare con le proprie mani un pericoloso serial killer, soprannominato Serpe, che ha ucciso il suo più caro amico e collega Bob. Il Biondo è un uomo malato, al quale un grave tumore al cervello ha concesso al massimo un paio d'anni. La sua vita non ha più alcun valore. Pur di trovare Serpe è disposto a tutto, scendendo a qualsiasi compromesso. Seguendo le tracce dell'assassino, il Biondo giunge a Corner's Church, una minuscola cittadina del Colorado, dove stringe un patto con il vicesceriffo Benson, un uomo arrivista e svogliato, il cui unico interesse è concludere la carriera in bellezza. Tenendo nascosto il caso all'FBI, Benson spera di prendersi tutti i meriti, lasciando al Biondo la sua personale vendetta. E' un gioco perverso, quello di Serpe, ma è un gioco nel quale solo il Biondo è protagonista.


"Stanotte nessuno osa avventurarsi sotto questa tempesta. 
Nessuna macchina illumina la strada con la luce biancastra dei fanali. 
Tranne una."


Recensione:
Lo sapevo. Sarà che avevo pensato anch'io a una cosa simile per una mia storia... ma sono riuscita a capire chi era Serpe quasi subito! ;) Una trama ricca di suspance, un protagonista imperfetto, un contesto affascinante. Ciò che mi è piaciuto di più di questo romanzo è la descrizione dei luoghi in cui è stato ambientato. Corner's Church prende il nome proprio dalla cittadina in cui avviene la resa dei conti tra il Biondo e Serpe, e l'eloquente disegno dei colori e del clima, mi ha permesso di farmi un'idea ben chiara del tipo di immagine in cui si svolge la vicenda. Simpatica la figura del vicesceriffo Benson che mi ha ricordato, almeno in parte, quella dell'agente Linus della serie Scream. Il protagonista, è il classico duro senza cuore che però una volta un cuore ce l'aveva. Consumato dalla rabbia, dalla malattia e dal mal di vivere, ha come unico scopo quello di trovare Serpe e ucciderlo. 


A Corner's Church però, non avrà luogo solo la sua vendetta personale ma anche, in un certo senso, la sua redenzione come uomo. Forse, la motivazione che spinge Serpe a ammazzare tante vittime in nome del "gioco" che stringe con il Biondo è un po' debole, come debole è il fatto che il Biondo non provi nessun rimorso verso quello che alla fine ha fatto. Tuttavia, non posso negare che questo sia stato un romanzo davvero piacevole da sfogliare. In passato, ho spesso motivato l'assegnazione delle stelline, elogiando uno stile impeccabile da parte dell'autore di turno rispetto però a una trama povera di contenuti. In questo caso, mi trovo quasi a dover fare il contrario. La storia pensata da Zapparelli è forte, di chiaro impatto americano. Mentre la si legge sembra di vedersi scorrere davanti una puntata di Criminal Minds. Ci sono però alcune pecche che non posso tralasciare e che, se prese come consiglio e non come critica, possono senza dubbio migliorare il lavoro finale. Due parole sole: troppe parolacce e nuovo giro di editing. Gradevole anche la copertina, che richiama l'esatto alone di oscurità in cui la storia si svolge. Se avete voglia di un thriller che vi lasci col fiato sospeso, questo romanzo fa per voi. Continuerete a leggere e a leggere e nemmeno vi accorgerete dei capitoli che passano via. Come esordio non c'è male, bravo Matteo!

lunedì 29 luglio 2013

Lorenzo Spurio - La cucina arancione

Buona estate! Come stanno procedendo le vostre vacanze, ve la state spassando? Io devo dire che faccio del meglio a riguardo: ho allentato il ritmo del blog e cerco di dedicarmi a questa magnifica stagione che, rispetto all'inverno, vola sempre via in un baleno. Non voglio rimpianti in questo 2013! :) Sono ancora sotterrata dalle letture arretrate, ma ho qui per voi una succulenta anteprima dell'ultima opera dello scrittore jesino Lorenzo Spurio, nostro amico, e di cui avevamo già presentato Flyte & Tallis. Come non mostrarvela? 

Autore: Lorenzo Spurio
Titolo: La cucina arancione
Editore: TraccePerLaMeta
Collana: Oltremare
ISBN: 978-88-907190-8-0
Pagine: 237
Anno: 2013
Formato: Cartaceo
Prezzo: 10,00

Trama:
La cucina arancione è la nuova raccolta di racconti dello scrittore marchigiano Lorenzo Spurio che nel 2012 ha esordito con Ritorno ad Ancona e altre storie (Lettere Animate Editore) scritto a quattro mani assieme a Sandra Carresi. Dopo essersi dedicato ampiamente alla critica letteraria, l’autore ritrova con questa silloge la sua forma letteraria espressiva più congeniale: il racconto breve. La cucina arancione si compone di ventiquattro racconti di diversa lunghezza e il filo rosso della raccolta è l’analisi di “casi umani”, di personalità fragili o disturbate, personaggi apparentemente sani che, invece, celano al loro interno delle inquietanti verità o problematiche che restano latenti. Nella silloge si parlerà di violenza e solitudine, ma anche di pedofilia, ossessioni adolescenziali e tanto altro. Nella prefazione firmata da Marzia Carocci si legge: «Amori non ricambiati, nonne ricordate, morti improvvise, viaggi di speranza, pulsioni devianti, magie e luoghi incantati, occasioni perdute… Un’appassionante raccolta fantasiosa, dove l’autore con immaginazione, intelligenza e acutezza, propone al lettore vicende realistiche e chimeriche di una mente che va oltre il consueto, sottolineando, però, in questo percorso d’indagine psicologica anche pregi e difetti dell’umanità». L’opera è edita da TraccePerLaMeta Edizioni, casa editrice dell’omonima Associazione Culturale all’interno della quale Spurio è socio fondatore. Il libro può essere acquistato mediante lo Shop Online dell’Associazione TraccePerLaMeta e a partire dalla prossima settimana su qualsiasi vetrina online di libri (Ibs, Dea Store, Libreria Universitaria,..) o mediante ordinazione in qualsiasi libreria.


Biografia:
Lorenzo Spurio è nato a Jesi nel 1985. Ha conseguito la Laurea in Lingue e Letterature Straniere e si è dedicato alla scrittura di racconti e di saggi di critica letteraria. Ha collaborato con prestigiose riviste di letteratura italiana tra le quali Sagarana, Silarus ed El Ghibli. Per la narrativa ha pubblicato Ritorno ad Ancona e altre storie (Lettere Animate, 2012), scritto assieme a Sandra Carresi; per la saggistica ha pubblicato Ian McEwan: sesso e perversione (Photocity, 2013), Flyte e Tallis (Photocity, 2012), La metafora del giardino in letteratura (Faligi, 2011), scritto assieme a Massimo Acciai e Jane Eyre, una rilettura contemporanea (Lulu, 2011). Ha curato, inoltre, l’antologia di racconti a tema manie, fobie e perversioni Obsession (Limina Mentis, 2013). Nel 2011 ha fondato assieme a Massimo Acciai e a Monica Fantaci la rivista di letteratura online Euterpe che dirige e con la quale organizza eventi letterari su tutto il territorio nazionale. 

Francis S. Fitzgerald - Il grande Gatsby

Autore: Francis Scott Fitzgerald
Titolo: Il grande Gatsby
Editore: Newton Compton
Collana: Live
Pagine: 125
Anno di pubblicazione: 2013
Formato: Cartaceo
Prezzo: 0,99
Ratings:  ☆ 

Trama:
Ricchissimo, potente, invidiato, Jay Gatsby è il re senza corona di West Egg. Nella sua villa sfarzosa lungo l'Hudson, a Long Island, è lo sfuggente anfitrione di una corte fastosa e stravagante, che nutre di lussuosi ricevimenti. Ambizioso e determinato, ha saputo conquistarsi con mezzi leciti e illeciti prestigio, denaro e rispettabilità. Ma non è felice: dal mistero del suo passato emerge a tratti il ricordo di un grande amore giovanile. Gatsby insegue disperatamente il sogno di ritrovare Daisy, di far rivivere il legame con la donna che lo ha respinto, povero e senza prospettive, per sposare il rampollo di una delle più grandi famiglie americane. Dovrà mettere in gioco tutto il peso del suo fascino e del suo potere, ma servirà solo a dare vita a una dolce follia destinata a finire in tragedia. Il grande Gatsby è il ritratto di un personaggio romantico e inquieto, che sacrifica la vita al sogno, un sogno a sua volta soffocato dalla ferocia di una società tanto brillante quanto insoddisfatta e spietata. Ma è anche l'affresco scintillante di un'epoca in cui il mondo dei contrabbandieri di alcolici si mescolava allegramente con quello dei banchieri, delle feste sfrenate, del charleston: quei ruggenti anni Venti nei quali, come scrisse il New York Times, la bevanda nazionale era il gin e l'ossessione nazionale il sesso.


"Mi accorgo adesso che questa è stata una storia dell'Ovest, 
dopotutto: Tom e Gatsby, Daisy e Jordan e io eravamo tutti dell'Ovest 
e forse soffrivamo di qualche deficienza che ci rendeva 
sottilmente inadatti alla vita dell'Est."


Recensione:

Un piacevole squarcio sulla società dell'epoca – mascherato però come storia d'amore – di cui Gatsby è l'indiscusso e intrinseco rappresentante. Tormentato, misterioso, invidiato... e allo stesso tempo affascinante: questo è Gatsby. Questi sono i sentimenti contrastanti provati da Nick Carraway, la voce narrante del racconto, nel conoscere  il proprio vicino di casa. Difficile rimanere indifferenti di fronte al chiasso delle lussuose feste organizzate da Gatsby, così come difficile è ignorare quella parte di mondo di cui si vuole fare parte. Nick Carraway lo sa bene e lo ha imparato a sue spese. Tuttavia, Gatsby è la prova concreta che i soldi non fanno la felicità: dopo aver passato tutta la vita a cercare di costruire la sua fortuna, non riesce ad avere l'unica cosa che vuole davvero, Daisy.

Invidie, gelosie, rancori, chiacchiericci, tradimenti e un omicidio che cambierà le sorti di un destino già avverso e crudele per i due sventurati amanti. Devo essere sincera: questo è un libro di cui bisogna capire il senso, altrimenti si potrebbe rimanere delusi da una trama sì certo, carina, ma che a parte qualche picco interessante non ha niente di troppo sconvolgente. Fitzgerald ha voluto comunque raccontare il malessere dell'epoca, il disagio personale di uomo maledetto e il breve passaggio che si può verificare tra l'innocenza e il vizio. Carino, ma non più di tre stelline.