lunedì 22 aprile 2013

Ilaria Goffredo - Tregua nell'ambra

Buongiorno lettori! Sono stata parecchio assente negli ultimi tempi I know... domando perdono! Ma tra le varie cose, sto partecipando ad un concorso letterario che mi sta letteralmente assorbendo e speriamo che continui ad assorbirmi fino alla fine, capiamoci!  Ho in serbo qui per voi una succulenta anteprima, un romanzo finalista nel concorso nazionale Il Mio Esordio Edizione 2012. Are u ready?

Autore: Ilaria Goffredo
Titolo: Tregua nell'ambra
Editore: Il mio Libro
Collana: Narrativa
Pagine: 356
Anno: 2012
Formato: Cartaceo ed Ebook
Prezzo: 19,00 o Gratuito

Trama
Martina Franca, Puglia, gennaio 1943.
L'Italia è entrata in guerra da tre anni e la vita della popolazione peggiora di giorno in giorno. Gli stenti gravano anche sull'esistenza della giovane Elisa, una diciottenne piegata dal terrore del fascismo e dei bombardamenti alleati, dalla fame. Un giorno Elisa conosce Alec, il figlio di una vicina di casa, un uomo misterioso e dallo strano accento; incute in lei un'adorazione che talvolta si tramuta in timore. In un romanzo che ha il sapore di sole e calce, terra e pane nero, la vita rincorre e sfida gli orrori della dittatura e dei campi di concentramento, spera nelle attività antifasciste e incassa le perdite. Il coraggio di una ragazza che diventa donna. La tenacia di un amore in bilico sull'abisso. Il ritratto di un'Italia che non c'è più. La coscienza di ciò che siamo stati nel flusso della Grande Storia. Il romanzo in formato ebook è disponibile in download integrale e gratuito a questo indirizzo.

Un estratto dal libro:
"I giorni e le settimane che seguirono furono estremamente deprimenti per il corpo e per l’anima. Visto quello che ci davano, mangiavo poco e male e mi sentivo sempre più debole. Ogni mattina, al suono di quell’odiosa sirena, mi alzavo e andavo a fare colazione, mi presentavo all’appello e se qualche volta la mia risposta non era immediata e a voce alta, le sentinelle di turno mi costringevano a cantare canzoni ridicole. Quindi, come se non bastasse, mi deridevano e riempivano di sputi. 
Mi sentivo spogliata della mia dignità. Andavo a lavorare e detestavo quelle dannate divise. A volte, quando ne avevo la forza, pensavo ai soldati che le avrebbero indossate. Erano felici di combattere per la patria? Avevano perso i familiari in quell’assurda guerra? Sarebbero morti tutti? 
Dopo ore e ore in piedi, con gli occhi che mi dolevano e i piedi gonfi e pesanti, andavo a pranzo dove mangiavo una minestra slavata. Poi ancora lavoro, lavoro, lavoro. Ogni tanto la monotonia veniva interrotta da un lite che finiva in bastonate e nelle risa rozze delle guardie. Sempre più stanca, poi, trascinando me stessa, andavo al secondo appello dopo il quale mi attendeva la cena a base di duro pane nero accompagnato a volte da un paio di fette di un salume scuro o patate o una verdura non bene identificata. Seguiva un’altra notte scomoda rannicchiata contro Cecilia. 
Alle volte le lavoratrici più esperte ricevevano piccoli regali ossia qualche foglio di carta per scrivere ai propri cari –sebbene la posta venisse controllata – oppure un rancio più abbondante, un bicchierino di grappa o la possibilità di accompagnare qualche miliziano a ritirare gli approvvigionamenti e fare un breve giro in auto fuori dal campo. Altre donne invece – seppur la loro identità non fosse nota – facevano le spie e chissà cosa ricevevano in cambio; fatto sta che ogni tanto una di noi veniva punita per aver giocato a carte o aver parlato male dei fascisti, cose che in teoria essi non avrebbero potuto sapere. 
Soltanto di domenica mi era concesso lavarmi assieme alle altre detenute con l’acqua fredda e sozza del lavatoio. Il lezzo che ci portavamo addosso certo non svaniva con brevi abluzioni con un sapone inodore. 
Alcune detenute, una delle quali particolarmente garrula, erano state trasferite in una stanza al piano superiore. Ne ignoravo la ragione, tuttavia esse parevano non aver perso la voglia di vivere. Durante il lavoro le avevo viste alle volte nascondere nelle mutande o negli scarponcini rimasugli di stoffa, scarti di fili. Anna riteneva che volessero in qualche modo fabbricare una corda per calarsi dalle finestre del piano superiore e tentare la fuga. E forse pregressi tentativi di evasione erano la ragione per la quale erano state spostate. Pure Anna, incurante degli sguardi interrogativi che le lanciavo, raccoglieva di continuo pezze e fili, nonché qualche ago fingendo che si fosse rotto. E di notte più di una volta l’avevo sorpresa in bagno a cucire meticolosamente tra loro scampoli di stoffa. Ne aveva ricavato qualche maglia che aveva poi nascosto all’interno del suo materasso. Che si stesse premunendo in vista dell’inverno? 
Di tanto in tanto, quando c’era modo e tempo di parlare e il costante desiderio di mangiare non annebbiava la mente, le donne si lasciavano andare a confessioni sussurrate che poi giravano tra le internate come succulente notizie, utili per distrarsi. C’era una giovane ebrea, Dileha, innamorata di un internato polacco, Victor. A Victor, forse per proprio tornaconto, il commissario permetteva spesso di dedicarsi al suo mestiere originario: dipingere. Aveva il permesso di recarsi nella cappella deserta del campo e affrescarla con immagini sacre, utilizzando tuttavia soltanto pochi colori e strumenti indigenti. E così, alternando il lavoro nei campi, Victor dava vita a santi vestiti d’oro tra le ostili mura della casa rossa. Era persino riuscito a fabbricare un imponente lampadario di legno con i resti delle cassette per la verdura. Tutto ciò era sufficiente a suscitare l’ammirazione della bella Dileha e di molte altre donne. 
Altre voci invece giuravano che, qualche detenuta saltuariamente impiegata nel lavoro nei campi assieme agli uomini, pur con la stretta sorveglianza fascista, era riuscita a chinarsi, sollevarsi la casacca e fingere di raccogliere ortaggi mentre un internato alle sue spalle soddisfaceva bestialmente il desiderio sessuale di entrambi. 
Tuttavia queste piccole rivincite di vita non erano sufficienti a dissolvere le brume del terrore. Ogni tanto si udivano fischi di treni in avvicinamento e nugoli di internati svanivano nel nulla; molto più raramente invece giungevano nei dormitori riverberi di spari attutiti dalla vegetazione del bosco. Nessuno si poneva domande né le poneva agli altri nel timore di ricevere risposte."

Biografia:

Ilaria Goffredo è nata nel 1987 e vive in Puglia. Ha viaggiato in tutta Europa e ha lavorato in agenzie di viaggi e grandi villaggi turistici. Nel 2005 ha lavorato come volontaria in una scuola professionale di Malindi, in Kenya. Lì si è innamorata di quella terra meravigliosa e della sua gente straordinaria. A ottobre 2010 si è laureata in Scienze della Formazione. Cura una rubrica di recensioni letterarie sul blog di Itodei. È stata giurato ufficiale del concorso Casa Sanremo Writers Edizione 2013. Ha vinto diversi premi letterari per racconti e diari di viaggio.

L'autrice dice:
La mia aspirazione è raggiungere un numero elevato di lettori e ricevere le loro opinioni sul romanzo. Il che sarebbe probabile attraverso una pubblicazione con un grande editore: cosa che risulta molto difficile in Italia per autori completamente sconosciuti, che non hanno raccomandazioni o fama pregressa. Considerando ciò e dopo accurate riflessioni, ho deciso di tentare una strada diversa: rendere il mio romanzo  al quale ho lavorato intensamente e per lungo tempo  disponibile in formato ebook (pdf, epub, mobi) totalmente gratuito. È la mia piccola protesta contro una realtà editoriale sbagliata; un modo per far conoscere i miei personaggi e ciò che hanno da dire; un modo per attirare l’attenzione sul mondo degli scrittori ignoti al grande pubblico. Clicca sul banner qui sotto e fai il download!

treguanellambra

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